Quella che è conosciuta come Villa Medici di Roma ha una storia (o una leggenda?) molto antica, secondo cui il terreno situato nel punto più alto della città nel corso dei secoli avrebbe ospitato le residenze di Lucullo, di Messalina, dell’imperatore Onorio e del generale Bellisario.
Alla fine del XVI secolo il piccolo edificio ivi realizzato fu acquisito dal cardinale Ferdinando de’ Medici, da cui il palazzo prese il nome. Estintasi la famiglia, il palazzo, a seguito dalla campagna d’Italia di Napoleone, venne infine adibito a nuova sede dell’Accademia di Francia a Roma (1803).
Con il cambio di statuto, nel 1971 Villa Medici aggiunse all’attività di formazione per artisti quella di spazio per mostre, esposizioni congressi aperto alla città. Diventando per Roma un importante punto di riferimento culturale.
Una giornata particolare
Questa premessa consente di spiegare assai bene il titolo di questo articolo. Il 3 maggio 2024, infatti, si è svolto a Villa Medici una giornata di studio di grande interesse per tutti coloro che seguono l’Art Brut/Outsider Art.
Soprattutto perché il convegno si è tenuto in parallelo alla mostra “Epopee celesti” in cui sono state esposte molte opere di artisti “brut” appartenenti alla collezione di Bruno Decharme. Quest’ultima, gestita dall’Associazione abcd (art brut connaissance & diffusion) conta opere di circa quattrocento artisti ed è una delle più importanti in Europa.
La giornata di studio è stata ideata e organizzata da Gustavo Giacosa, gallerista, collezionista ed esperto d’arte, che ha invitato come relatori alcuni tra i più significativi studiosi di Art Brut europea: Sarah Lombardi (direttrice della Collection de l’Art Brut di Losanna), Barbara Safarova (presidente dell’associzione abcd), Céline Gazzoletti (storica dell’arte), Cristina Agostinelli (program manager presso il Museo Nazionale di Arte Moderna-Centro Pompidou di Parigi), Lisa Roscioni (docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma), Fiorella Bassan (già docente di Ermeneutica artistica alla Sapienza) e Claudio Zambianchi (docente di Storia dell’arte contemporanea alla Sapienza).
Art Brut, l’arte dei folli?
Ma cos’è l’Art Brut? Nel 1945 l’artista e critico francese Jean Dubuffet, in compagnia degli amici Le Courbusier e Jean Paulhan, visitò alcuni manicomi in Svizzera per raccogliere creazioni artistiche realizzate da “alienati”, malati di mente in cura in quelle strutture.
Questa raccolta divenne una collezione che molti anni dopo venne donata alla città di Losanna (Svizzera francese), che realizzò l’attuale museo noto appunto come Collection de l’Art Brut.
L’ingresso della Collection de l’Art Brut di Losanna, Svizzera (foto A. Fiorini)
Dubuffet, conosciuto come il fondatore dell’Art Brut, definì quest’ultima come caratterizzata da “lavori effettuati da persone indenni di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o niente parte, in modo che i loro autori traggano tutto (argomenti, scelta dei materiali, messa in opera, mezzi di trasposizione, ritmo, modi di scritture, ecc.) dal loro profondo e non da stereotipi dell’arte classica o dell’arte di moda“.
Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma (foto A. Fiorini)
Per molto tempo, tuttavia, l’Art Brut venne quindi identificata con l’”arte dei folli”. Una definizione che Dubuffet rigettava in quanto non si trattava di arte particolare in quanto prodotta da “folli”, ma di arte tout court, realizzata da persone che già in sé erano artisti. In questi casi, l’internamento forniva loro solo tempo e modi di mettere a frutto la loro arte.
L’anti-accademismo in Accademia
Questa attenzione di Dubuffet e dei cultori dell’Art Brut all’arte prodotta da chi vive i contesti disagiati o di isolamento (psicologico o fisico) nasce anche da un proclamato anti-accademismo dello stesso Dubuffet. L’artista, infatti, rigettava il concetto che le regole dell’arte potessero essere dettate da un’accademia, dall’Académie des beaux-arts di Parigi, in particolare, la cui rigida etica compositiva avrebbe allontanato l’arte, a sua dire, dalla realtà.
Ecco dunque la prima contraddizione: l’Accademia di Francia a Roma che ospita un evento dedicato a una forma d’arte riconosciuta come tale da chi ha sempre strenuamente lottato contro l’accademismo, contro il “centralismo artistico” e l’uniformità dell’ispirazione. Ma non si tratta dell’unica contraddizione.
L’Art Brut e le sue eccezioni
Nel corso della giornata, un punto centrale, emerso dal dibattito quasi casualmente ma fondamentale, è stato quello della definizione di Art Brut e dei confini entro cui racchiudere gli artisti indicati come appartenenti ad essa.
È stato quindi individuata una “era Dubuffet”, durante la quale il fondatore ha dato la definizione e ha indicato i precursori e gli artisti che a suo giudizio andavano inseriti nella lista dei “bruts”. A questa era è seguito un post-Dubuffet, in cui la selezione degli artisti effettuata da critici e gallerie è diventata meno rigorosa e maggiormente caratterizzata da eccezioni e ambiguità.
Lo stesso Dubuffet, infatti, su questo tema non era esente da eccezioni e contraddizioni. Lo testimonia ad esempio una lettera – citata da Giacosa – di Dubuffet a Lorenza Trucchi datata 6 maggio 1963, in cui l’artista sottolinea come non si può definire brut un’arte che non sia sorta spontaneamente, senza incentivi o spinte esterne, per quanto a scopo terapeutico o di altro tipo. Come avveniva per esempio negli atelier in cui veniva esercitata l’arteterapia.
Lo stesso Dubuffet, tuttavia, dal 1966 ammise nelle proprie collezioni artisti provenienti da “ambienti protetti” (ad esempio l’atelier La Tinaia) o da artisti non propriamente brut secondo la sua stessa definizione.
Insomma, una definizione di Art Brut scolpita nella pietra, dogmatica e ferrea, non esiste. E forse è il bello di questa forma di creatività, molto diversa dall’arte accademica o presente nei normali circuiti produttivi e commerciali.
Art Brut vs Outsider Art
Ma non è finita. A fronte di questa difficoltà di delinearne i contorni, alla giornata di studio c’è chi ha posto la questione se non fosse il caso di adeguarsi alla più ampia definizione di Outsider Art adottata nell’area di lingua anglosassone. La qual affermazione, in un contesto francofono, ha fatto sollevare più di un sopracciglio.
La denominazione di Art Brut ha una storia, è stato detto, e va preservata. Senza contare che la definizione di Outsider Art sarebbe troppo ampia e troppo poco lontana dai concetti di mercato dell’arte e di produzione, tipica del contesto statunitense.
Una polemica forse un po’ sterile, tesa a preservare un concetto un po’ troppo vago – così dalla sua nascita – rispetto a un’arte identificata più dal suo contesto di sviluppo che non dal suo legame con il disagio e con la separazione dal mercato. Prova ne sia che le gallerie di mezza Europa (Francia, Germania e Italia, in primis) sono piene di oggetti d’arte brut in vendita.
E Lombroso dove lo mettiamo?
Infine, una tiratina d’orecchi di Lisa Roscioni alla letteratura francese di storia dell’Art Brut, che spesso fa iniziare le prime considerazioni del rapporto tra arte e follia agli inizi del ‘900 ignorando il grande lavoro di fine ‘800 dell’antropologo italiano Cesare Lombroso. Sia per quanto riguarda i suoi scritti (es. “Genio e follia” del 1872) sia per il materiale raccolto nel suo Museo Criminale di Torino (“lavori dei pazzi” o “lavori pazzeschi”, come li definiva). Per esempio, i mobili fantastici di Eugenio Lenzi o di Antonio Tolomei.
Conclusioni
Gli stimoli e gli interventi della giornata sull’Art Brut sono stati quindi davvero tanti e di certo interesse. Le contraddizioni che caratterizzano questa visione dell’arte fanno forse parte della sua natura o forse ne indicano un corpus filosofico-normativo ancora in divenire. Tuttavia, eventi come la giornata di studio di Roma spingono ancora di più a lavorare per diffondere la conoscenza dell’Art Brut in Italia, ancora poco nota a livello del grande pubblico, e in particolare per far conoscere artisti estremamente singolari e, spesso, davvero eccezionali. Come Henry Darger, Carlo Zanelli, Ramon Losa, Lázaro Antonio Martínez Durán, Alexander Lobanov, o Aloïse Corbaz. Al lettore, adesso, il gusto della scoperta.
Opera di Henry Darger esposta a Villa Medici (Roma) – foto A. Fiorini
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