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Benessere in azienda: c’è ma non si vede?

“Quale relazione esiste tra la soddisfazione dei lavoratori e il valore dell’impresa per cui lavorano? Se un lavoratore è soddisfatto, coinvolto e trova ricco di significato il suo lavoro, l’impresa ne avrà con certezza dei benefici? E gli azionisti di quell’impresa che previsioni potranno fare rispetto al valore futuro delle loro azioni?”: l’articolo pubblicato il 9 novembre su Il Sole 24 Ore che consigliamo di leggere, riaccende i riflettori sul tema del benessere dei lavoratori e lo fa con il linguaggio proprio dell’economia.

Senza voler semplificare troppo un tema che rimane tanto importante quanto complesso, noi ne facciamo una sintesi con il linguaggio di CurarsiRidendo: dal momento che le aziende sono un’aggregazione di individui che operano insieme per il raggiungimento di uno scopo comune, tanto maggiore è la cura della salute di questi individui tanto maggiore è quello dell’azienda perché tanto maggiore è la possibilità di raggiungere lo scopo. Insomma più si curano i dipendenti meno si deve curare l’azienda.

E su questo potremmo essere tutti d’accordo, almeno in linea teorica. La questione si complica però quando si cerca di capire come si possa misurare questo stato di “salute”, giacché l’unico termometro riconosciuto come valido dai più che si intendono di aziende è quello dei risultati economici che i modelli ricostruiscono con un sufficiente grado di rigorosità scientifica.

Certo, siamo ancora lontani dal vedere includere in questi modelli il benessere aziendale inteso nell’accezione di “cura di sé stessi” in quanto individui che, come si suole dire lavorano per vivere e non vivono per lavorare. Tant’è che a tutt’oggi, anche alcune organizzazioni aziendali si sforzano di prevedere momenti o interventi a beneficio della sfera personale dei dipendenti, nella pratica il lavoro è ancora considerato come il prodotto neutro di una specie di essere bionico scevro da  sentimenti ed emozioni. Il che rende oltre modo difficile trovare un algoritmo in grado di misurarlo.

Ma il processo creativo della comicità, che permette di guardare la realtà come attraverso uno specchio che ne deforma i contorni e ne rende a tratti grottesca l’immagine fino a trasfigurarla del tutto, ci viene in aiuto e, svelandoci una persona in carne e ossa e null’altro che questo dietro ad ogni scrivania, cellulare o computer, ci fa dire con le parole di Woody Allen: Dio è morto, Marx è morto e nemmeno “l’azienda” oggi si sente molto bene.

E voi? Pensate che sia importante che il collega dal cui aiuto dipendete per una pratica, il capo che giudica il vostro lavoro o il responsabile del personale che decide dove andrete a lavorare si occupi del suo benessere?